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martedì 10 marzo 2015

Lente di ingrandimento sulle Ombre - African Journal DAY 19

(Stai leggendo una pagina di AFRICAN JOURNAL - il diario del mio viaggio in Zambia nel 2012.
Trovi il resto sotto l'etichetta Africa. Sì, qui le cose semplici vanno alla grande.
Se vuoi altre info sull'associazione con cui sono partita, scrivimi, orsù: esplorattrice@gmail.com)

h 19:00 - Mpangwe


Oggi è stato scavato il pozzo di CITIELA, il primo selezionato dalla lista del governo. Abbiamo incontrato Curry e i suoi operai in città - al loro "quartier generale" e poi siamo andati insieme al villaggio. Non è lontano dal cartellone che indica la fine del territorio di Chipata, direzione Lusaka. Giri a sinistra nel nulla della savana e prosegui sulla pista. 
Bambo Francis aveva un impegno stamane e anche Bridge - tra meeting e hospital dalla moglie - inizialmente ci aveva lasciati soli. Ci siamo aiutati col GPS prima di finire dispersi nel nulla. Avevamo segnato le coordinate alla prima visita, alcuni giorni fa, così abbiamo raggiunto il villaggio senza particolari problemi. Santa tecnologia.

Una volta sul posto, freschi delle recenti "lezioni di sfiducia", ci sentivamo tutti un po' inibiti dal dare il via ai lavori con serenità. Abbiamo chiesto a Bridge di raggiungerci per definire insieme il punto esatto per lo scavo. Le Farms sono sparse, la gente che parla un inglese comprensibile non è molta e - come se non bastasse - un pozzo visto a meno di un chilometro lungo il tragitto, ha scatenato la "fobia da pozzo nascosto" che ormai ossessiona ognuno di noi.
Il nostro fidato Bridge è arrivato dopo poco con la sua camicetta firmata Gucci (?!?!) e ci ha indicato dove scavare. L'assenza del nostro faro Bambo Francis ci ha sottolineato l'esigenza di affidarci a qualcuno del posto, è una necessità qui, per sentirsi sicuri sul da farsi. Non la troviamo una debolezza.


Mentre Agosto, l'amato operaio di Curry, scava il pozzo davanti ai nostri occhi, Fox e i suoi stanno posizionando i tubi - in acciaio, ci si augura - e le pompe a SIMION e a KONKONI. A supervisionarli abbiamo inviato i colleghi del nostro paladino Bridge. Per la colata di cemento bisognerà aspettare domani e manca ancora da ultimare il pozzo di CIZIMATI. Finiranno appena in tempo prima della nostra partenza. 
L'idea di dividere il nostro gruppo per controllare con i nostri occhi il lavoro è stata scartata: il primo motivo è la lontananza dei due luoghi di lavoro di oggi, il secondo e forse ben più determinante motivo è l'intolleranza verso Fox. Una convivenza pacifica, senza che questa allergia alla sua scorrettezza diventi pretesto di discussione, ormai è sempre meno probabile.


Oggi l'emotività ha avuto proprio il sopravvento. Ci siamo pure concessi un pranzo all'Hotel Protea, l'oasi superlusso di Chipata. Il richiamo di casa inizia a farsi forte. Il cibo tuttavia non era granché, tanto per sottolineare che casa è ancora lontana. 
Abbiamo preso contatto con un tizia americana presente ad un congresso sull'acqua che si stava svolgendo nella sala riunioni - lo stesso che tiene occupato Bridge anche domani. Chissà che ne esca una qualche collaborazione vantaggiosa. 
Ci focalizziamo su questa ipotesi per non sentirci troppo in colpa per esserci regalati una pausa "sfarzosa" lontani dai villaggi e dalla vita spartana delle missioni. 
Osservo questo desiderio di evasione, che oggi tutti sentivamo forte e abbiamo voluto esaudire. Credo possa fare il paio con un po' di umana e inconfessabile voglia di prendere le distanze dalle contraddizioni di questa intensa esperienza. Il malumore di questi giorni ci ha messo davvero alla prova. 

Un altro indizio della nostra ambivalenza, o almeno della mia, è quanto io ho provato - ma potrei scommetterci, non solo io - verso l'invadenza dei bimbi e delle donne nel villaggio in cui ci trovavamo oggi. Mi è capitato di non sentirmi rispettata. Questo avviene perché mi trovo in uno spazio di disagio, lo so. L'impossibilità di comunicare a parole e i recenti "torti" che mi/ci hanno feriti e disillusi sulla buonafede dei queste persone. Ci hanno svelati scontrosi, rabbiosi, persino presuntuosi verso la diversità, l'assenza di regole e codici comuni. La stessa diversità che in altri istanti ci ha invece stregati, affascinati, addirittura commossi. 
Che ingenuità è stata considerare solo il "bello", il "puro", nell'osservare tanta umanità! E' come guardare la luce senza considerare che l'ombra è inevitabilmente al suo fianco.
Io mi sto osservando mentre provo tutto questo, provo onestamente a portare la mia esperienza nei ricordi di queste giornate. Credo di non essere stata l'unica, ho sentito anche negli altri miei compagni di avventure questo cambiamento, piccolo grande disagio. L'umore, lo sguardo, il nostro stato d'animo non è rimasto sempre limpido in questi giorni. Siamo umani. Tutti noi.


Un episodio in particolare, avvenuto oggi pomeriggio, mi ha fatto provare un dispiacere più intenso.
La jeep era parcheggiata all'ombra nei pressi dello scavo. I bimbi che circondavano il mezzo hanno, pian piano, sempre più sfacciatamente, invaso il "cassone", relegandoci in alto, appollaiati sul ferro al quale ci reggiamo nei viaggi dietro al PickUp. C'erano anche dei bimbi davvero piccoli.
Nonostante i tentativi di far capire ai bimbi di restare indietro, di non ammassarsi in troppi, il numero è cresciuto sempre più velocemente. Nemmeno l'intervento di una donna ha chiarito le nostre intenzioni di evitare quanto è accaduto poco dopo. Tutti i miei compagni di viaggio erano ormai scesi dal mezzo, io resistevo in alto, cercando di tollerare l'agitazione sotto di me.
L'eccitazione e il "bullismo" dei bimbi più grandicelli che volevano farsi largo tra i più piccoli ha provocato un piccolo incidente. La mia reazione nervosa ha sottolineato in maniera eccessiva l'episodio, me ne sono accorta subito. 
Ripetevo con crescente preoccupazione, già da alcuni minuti " Don't fight, stop, please, pay attention" ai bimbi sotto di me, dalla mia postazione sopraelevata, dalla quale seguivo i lavori di scavo non lontani. 
L'unico risultato era sentire i bimbi ripetere i suoni che emettevo, come se le mie non fossero parole ma versi e loro un piccolo coro di pappagallini eccitati dal gioco di affollare la jeep. Quando infine uno dei bimbi più piccoli è stato spintonato da un altro ed è caduto a "tuffo" giù dal cassone ho fatto un balzo improvviso per cercare di raggiungerlo e ho cacciato un urlo "EHI, STOP!!!" con tanta rabbia e spavento che credo di averne fatti cadere un altro paio per la violenza della mia reazione. 
Il bimbo che era stato "lanciato", era a terra ed è scoppiato a piangere, altri bimbi, spaventati dalla mia foga sono scappati e un paio credo lo abbiano pure un po' calpestato, io ero così imbarazzata che non ho avuto nemmeno la prontezza di soccorrerlo immediatamente. E' accorso Cuggi ad essicurarsi che non si fosse fatto male seriamente e ad asciugargli le lacrime. 
Nessun bimbo e poi tornato sul cassone della jeep, io mi sono avvicinata al piccolino per verificare che fosse tutto intero e gli ho accarezzato una guancia rigata dalle lacrime. Per consolarlo ma anche per chiedergli scusa. Mi sentivo un po' responsabile, credo gli abbia fatto male più chi gli è passato sopra per sfuggire alla mia ira, che non la caduta in sè. Che imbarazzo infinito.


Così ora, per imparare qualcosa da questo episodio, cerco di osservare con cura tutte le ombre emotive che stanno rannuvolando queste mie giornate.
Uso una lente di ingrandimento con me stessa e vicino alla meraviglia, allo stupore, all'umiltà coi quali Filtro questa realtà così diversa dalla mia, ecco spuntare anche il disagio, l'incomprensione, il giudizio, che tanta distanza inevitabilmente provoca. Finchè ne sono cosciente, voglio credere e pensare che tutto sia sano e normale. Forse è nell'Incoscienza di queste emozioni naturali che cresce pericolosa, come erbaccia velenosa, la superbia.
Il pensiero che l'ignoranza, la semplicità, l'assenza di convenienza o il suo maldestro esercizio, siano etichettate come "inferiorità" irrecuperabile, o "colpe", invece che considerate Condizioni, è il pericolo. Di queste condizioni può essere certamente visto il limite ma con esso va mantenuta la consapevolezza del loro Possibile Miglioramento. 
Da questa riflessione distillo il vero Valore dell'istruzione, della cultura, dell'educazione, come privilegi preziosi, non qualità ferme sulle quali valutare o screditare il prossimo. 
Questa lezione l'ho letta nelle lacrime che rigavano le guanciotte del bimbetto innocente che ho consolato oggi. E me la terrò stretta.

Questa è l'ultima notte che passeremo qui a Mpangwe. Rimpiangerò tanto silenzio, tanta semplicità, tanta natura. Da domani saremo nuovamente ospiti da Padre Temerùghet a Chipata.




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